Uno studio condotto presso gli Ospedali Universitari di Ginevra (HUG) e l'Università di Ginevra (UNIGE) ha gettato una luce considerevole sulla comprensione delle demenze legate all'età, in particolare quelle di origine vascolare, che sono le più comuni dopo la malattia di Alzheimer. Lo studio evidenzia il ruolo chiave di una molecola cerebrale, il recettore 5 delle chemochine (CCR5), nella morte neuronale osservata durante lo sviluppo della demenza vascolare. Questa scoperta offre prospettive promettenti per la prevenzione, consentendo di identificare precocemente le persone a rischio e di intervenire in modo adeguato. Lo studio è pubblicato sulla rivista Alzheimer e demenza.
La demenza è un gruppo di malattie cerebrali che condividono sintomi simili, come problemi di memoria, linguaggio, orientamento e comportamento. Secondo Alzheimer Svizzera, la demenza vascolare si sviluppa generalmente negli anziani e colpisce tra l'1% e il 4% delle persone di età superiore ai 65 anni. Le cause di questa forma di demenza risiedono in lesioni vascolari che interrompono l'apporto di sangue al cervello, causando la morte dei neuroni. Non esiste una cura per la demenza vascolare e l'unico modo per combatterla è attualmente quello di prevenirla controllando i fattori di rischio come l'ipertensione, il colesterolo alto, il diabete e il fumo. Le misure preventive potrebbero diventare più efficaci con la scoperta di nuovi biomarcatori della malattia che identificherebbero più facilmente le persone a rischio. Questo è il successo del team HUG e UNIGE che ha scoperto il ruolo del recettore CCR5 nello sviluppo della demenza vascolare.
Un nuovo biomarcatore per la demenza
Lo studio si è concentrato sul CCR5, una proteina recettoriale legata alle chemochine, messaggeri chimici del sistema immunitario. Il team guidato da Dina Zekry, responsabile del reparto di Medicina Interna per Anziani dell'HUG e professore associato presso il Dipartimento di Riabilitazione e Geriatria della Facoltà di Medicina dell'UNIGE, in collaborazione con il team guidato da Karl-Heinz Krause, medico senior del Dipartimento di Diagnostica e Medicina dell'HUG e professore ordinario del Dipartimento di Patologia e Immunologia della Facoltà di Medicina dell'UNIGE, entrambi responsabili dello studio, hanno scoperto che CCR5 svolge un ruolo cruciale nella risposta delle cellule cerebrali allo stress ossidativo, un meccanismo coinvolto nella morte dei neuroni. I protagonisti dello studio hanno anche trovato un legame tra una specifica variante genetica di CCR5 e quella di un'altra proteina, l'apolipoproteina E (ApoE), nota per il suo ruolo nella demenza senile.
Questa complessa associazione genetica aumenta notevolmente il rischio di demenza vascolare. "Le persone di età superiore agli 80 anni che sono portatrici di questo specifico genotipo hanno una probabilità undici volte maggiore di sviluppare la demenza vascolare", spiega Benjamin Tournier, PhD, biologo del Dipartimento di Psichiatria dell'HUG, medico privato del Dipartimento di Psichiatria della Facoltà di Medicina dell'UNIGE e primo autore dello studio.
Questa ricerca traslazionale, un concetto che mira a tradurre le scoperte fondamentali in applicazioni cliniche concrete, ha permesso di chiarire i probabili meccanismi della demenza attraverso una serie di esperimenti. Il team di ricerca ha innanzitutto evidenziato il ruolo potenziale del CCR5 nei meccanismi ischemici esaminando i neuroni di topo "in vitro". Ha poi studiato le variazioni dei geni CCR5 e ApoE in un gruppo di 362 persone (205 senza demenza e 189 con demenza) che hanno accettato di fornire campioni di sangue ogni anno per cinque anni. Le conclusioni dello studio sono state poi verificate su un'altra coorte di volontari in Italia (157 persone senza demenza e 620 persone con demenza), consolidando la solidità della scoperta.
Un passo importante verso la prevenzione e il trattamento
Il Prof. Zekry sottolinea l'importanza di questa scoperta come nuovo bersaglio per la comprensione e il trattamento della demenza senile. "Si tratta di un importante progresso che apre le porte all'identificazione precoce degli individui a rischio e allo sviluppo di terapie mirate. Offre una notevole speranza alla nostra società per quanto riguarda le malattie neurocognitive nel loro complesso". Da questo studio potrebbero emergere anche nuove strategie terapeutiche per migliorare la qualità della vita e la funzionalità delle persone colpite.
https://doi.org/10.1002/alz.13392